1040
Si tramanda che, dove oggi sorgono le Grazie, esistesse fin da quest’epoca un antico ospizio dei Santi Gervasio e Protasio, retto dai frati Benedettini.
Nella sua Guida di Udine del 1886, edita dalla Società Alpina Friulana, Giuseppe Occioni Bonaffons indica come la memoria più antica riguardi la data del 1040, quando qui doveva esserci la chiesa dedicata ai santi ambrosiani affiancata da un monastero retto dai Benedettini, definiti Cassinesi, però di queste notizie non fornisce le fonti. Anche Mons. Pietro dell’Oste, parroco delle Grazie dal 1895 al 1923, riporta questa notizia in diversi suoi scritti (vedi ad esempio: San Valentino – Frammenti Storici, Udine 1923). Aggiunge, sempre nel libro citato, che l’area lungo via Sant’Agostino (dove oggi c’è la caserma Di Prampero e ai suoi tempi quella di cavalleria, costituita dal convento delle suore Agostiniane così trasformato) era detta delle Cassine perché legata ai Benedettini Cassinesi. Dell’Oste sostiene che dalla stessa origine prende il nome “Porta Cassina”, che in fondo a Via Sant’Agostino, nel Trecento, si apriva nella quinta cerchia di mura e che ebbe però breve vita perché venne chiusa nel 1412. Giovanni Battista della Porta nel suo prezioso “Memorie su le antiche case di Udine” (ripreso dal suo “Toponomastica Storica della Città e del Comune di Udine” – Udine, 1928) indica invece l’origine del toponimo non nei benedettini, ma dal fatto che nella zona ci fosse una cascina di proprietà del Patriarca. Tuttavia riguardo alla Madonna delle Grazie, anch’egli riporta che nel 1040 vi erano i benedettini cassinesi.
Tra questi autori si fa una certa confusione tra Cassinesi e provenienti da Montecassino. Infatti, la congregazione dei Benedettini Cassinesi prese questo nome solo nel 1504 quando alla riforma della regola dei monasteri benedettini aderì anche l’Abbazia di Montecassino. Questo esclude pertanto la possibilità che si trattasse all’epoca di questa congregazione.
Giuseppe De Piero nel suo “Antiche parrocchie della Città di Udine” (Udine, 1982) racconta che nel IX secolo all’abbazia dei Santi Gervasio e Protasio venne incorporata, seppur temporaneamente, quella storica della Beligna, presso Aquileia, in seguito alla decadenza di questa per l’impaludamento della zona. Non cita però le fonti e si basa decisamente sugli scritti del dell’Oste. Sempre nel medesimo volume, si afferma che un monastero benedettino femminile era presente vicino alla roggia, fuori porta Gemona (dietro all’ex palazzo Moretti). La strada cassina quindi poteva essere anche il collegamento tra questi due monasteri. Anche qui però mancano le fonti.
Le notizie su quest’epoca sono comunque molto scarne ed incerte e non abbiamo testimonianze scritte sull’attività dell’abbazia. Vittoria Masutti nel curare la riedizione del libro sulle case di Udine del Della Porta, nel 1982, annota che non ci sono notizie a supporto della data del 1040. Negli articoli redatti da Fra Davide Montagna e Fra Graziano su questo bollettino all’inizio degli anni Settanta del Novecento, in cui si tracciava una storia del Convento della Madonna delle Grazie, cominciano a riportare le notizie di San Gervasio dalla fine del Duecento, non accennando ai benedettini e alla loro attività.
Tuttavia, Pietro Zovatto nel suo fondamentale “Il monachesimo benedettino in Friuli”, edito dal Centro Studi Storico Religiosi del Friuli Venezia Giulia nel 1977, conferma la presenza di un’abbazia benedettina nel luogo in cui ora sorge il Santuario.
1233
Verso questa data, viene fondato a Firenze da sette laici, l’ordine dei Servi di Maria.
1292, 24 ottobre
In un atto redatto dal notaio Francesco di Nasuto in questa data, si identifica un terreno “in villa Utini in loco qui dicitur prat clus”. Probabilmente si riferisce ad un terreno vicino l’attuale via Sant’Agostino. Pracchiuso era una delle ville che attorniavano Udine. Il suo nome è di etimologia incerta. Sembrerebbe derivare da “pratum clausum”, a causa di una cascina del Patriarca che sorgeva nei pressi e alla quale forse era annessa un’area demaniale destinata a pascolo esclusivo e non accessibile dagli altri abitanti. Potrebbe però derivare anche da “pratum Curie”, ad indicare comunque un luogo di proprietà demaniale, probabilmente assai esteso, tenendo conto di altri toponimi come “prati del Patriarca” esistente ancora oggi nella zona di via del Bon e Pradamano derivante da “pratum demanii”.
1305
Si fa riferimento alla presenza di un mulino prope San Gervasium. Prima citazione di San Gervasio.
1328
In questo anno si decide la costruzione della V cinta muraria, che andrà ad includere Borgo Pracchiuso.
1330
In un documento del notaio Leonardo da Udine si legge: “In villa de Pratclus”.
1347
Documenti del comune di Udine parlano di fondi destinati dalla città alla “consacrazione” della chiesa, segno probabile che la sua decadenza rifletta quella benedettina. La presenza benedettina sembra si possa attestare sino alla metà del Trecento, epoca in cui Pracchiuso era una delle ville che attorniavano la città di Udine e che si apprestavano ad essere inglobate dalla costruzione della quinta cerchia di mura, corrispondente più o meno all’attuale circonvallazione interna. I benedettini non avevano conventi all’interno delle città, quindi probabilmente l’inclusione di Pracchiuso nella città li spinge a lasciare San Gervasio e Protasio.
1347, 16 marzo
Un documento riporta: “canipa sita Utini in Villa iuxta sanctum Gervasium”
1348
I Celestini, seguaci di quel Pietro da Morrone che sarà poi eletto Papa con il nome di Celestino V, ebbero in dono un terreno confinante con quelli della chiesa di San Gervasio. In quel periodo i Celestini erano all’apice della loro espansione e chiesero al Patriarca Bertrando, tramite il loro provinciale padre Omobono presente in città per la donazione, di insediarsi nel luogo e officiare la chiesa. Il Patriarca diede il suo assenso unendo alla concessione della chiesa alcune casupole da lui riscattate, con il progetto di fondare un monastero dedicato a San Girolamo.
1349, 28 ottobre
La chiesa viene consegnata ai Celestini, con il consenso del Capitolo dei Canonici.
1350
A partire dalla metà del XIV secolo, vicino alla cella è attestata una modesta struttura cimiteriale, probabilmente, ad uso esclusivo del convento che i frati Celestini stavano costruendo in quegli anni.
1355
Viene eretta una chiesa dedicata a San Valentino, attuale chiesetta di Sant’Antonio da Padova.
1379
Priore dei Celestini è Giovanni da Gubbio. In questo anno risulta la presenza di un “hospitale”. Nella seconda metà del XIV secolo si costituisce la confraternita di San Gervasio “fraternitas Sancti Gervasii”, un gruppo laico finalizzato alla cura dell’omonima chiesa dove i Celestini officiavano. Il sodalizio, che rappresenta l’elemento di raccordo tra i diversi ordini regolari che si susseguirono nel monastero, compare nei documenti udinesi, come istituzione dedita all’assistenza dei miserevoli, con i primi documenti dal 1379, ed è collegata all’Hospitale Sancti Gervasii che doveva trovarsi nel medesimo borgo.
1380
I Celestini svolsero per un periodo anche le funzioni religiose a San Martino della Beligna, presso Aquileia. Un tempo questa abbazia era piuttosto importante, soprattutto dopo la rinascita nell’XI secolo della città patriarcale. Poi però, con l’impaludamento della zona, le condizioni di vita divennero impossibili e ne decretarono la decadenza, tanto che i monaci l’abbandonarono, lasciandola in gestione ad affittuari laici. La Beligna aveva tuttavia una rendita di circa quattrocento fiorini d’oro. I Celestini ottennero, dopo varie richieste ai papi Gregorio XI e Urbano VI, che verso quest’anno l’abbazia aquileiese della Beligna fosse incorporata in quella di San Gervasio e Protasio. Questa risoluzione venne contrastata dal Patriarca Giovanni di Moravia, che era contrario ai monaci, ma appoggiata dal consiglio di Udine, che a quel tempo avversava il Patriarca.
1380, 19 giugno
Abbiamo testimonianze di festeggiamenti solenni con astensione dal lavoro da parte della popolazione in questa data, con donazione da parte di un fedele di dieci marche aquileiesi per l’acquisto di paramenti liturgici e di un calice. In questa fase la comunità è vista con favore e suscita un certo fervore religioso.
1382
Tra il 1382 e il 1384 risulta priore dei Celestini Giovanni da Avignone.
1389
La comunità dei Celestini è formata da tre monaci. Dal 1389 al 1390 è priore Matteo da Montereale.
1385
Verso la fine del XIV secolo, i Celestini rappresentavano un elemento di rilievo nel panorama devozionale locale.
1389, febbraio
I monaci Celestini cominciano a chiedere di entrare in effettivo possesso della Beligna.
1390, 8 luglio
Il consiglio di Udine autorizza i cittadini a radunarsi per accompagnare i monaci a prendere possesso della Beligna. Ma questo non avviene.
1391
Tra il 1391 e il 1392 è priore dei Celestini Girolamo da Udine.
1392
Tra il 1392 e il 1393 è priore dei Celestini Giorgio da Venezia.
1394
Tra il 1394 e il 1397 è priore dei Celestini Giovanni De Novellis dall’Aquila.
1398
Priore dei Celestini è Adamo di Terranova di Calabria.
1398, 7 giugno
Papa Bonifacio IX con una sua bolla annulla l’incorporazione della Beligna, dandola in commenda a Iacopino del Torso.
1410
L’incarico di officiare nella chiesa di San Gervasio viene affidato agli Agostiniani che avevano sede nel convento di Santa Lucia in via Mantica, per mancanza dei padri celestini.
1413
Il consiglio della città sollecita il Patriarca a provvedere al sostentamento della chiesa e del convento, ché “ogni giorno che passa se ne vanno in rovina”.
1417, 18 aprile
Un documento riporta: Actum Utini in pertinentiis Ecclesie S. Gervasii super Invio eundo in pracluso sub magno tileo ibi posito.
1439
Il Comune di Udine incarica ufficialmente, come priore di San Gervasio, fra Cristoforo “quondam magistri Antonij molendinari de Utino”, agostiniano del citato convento di Santa Lucia.
1448
Si costruisce il convento di S. Agostino. Oggi ha sede la caserma Di Prampero.
1452
Tra questo anno e il 1463, probabilmente concentrati nel 1455, vengono eseguiti importanti restauri e lavori di ampliamento alla fabbrica della chiesa di Gervasio e Protasio che ormai si configura come parte dell’istituzione monastica.
1455, 15 settembre
I Servi avviano contatti con la città, inviando degli emissari per conferire con l’amministrazione locale, proponendo un insediamento. I consiglieri erano favorevoli e avevano proposto l’area della chiesa di Sant’Antonio in Piazza Patriarcato, che ai frati non dispiaceva. Ultimo passo era il nullaosta del vicario patriarcale, che però non arrivò e ne ignoriamo il motivo.
1457, 20 dicembre
Nuovo contatto dei Servi. Un frate (non sappiamo se fosse dell’Osservanza) incontra una commissione di quattro membri, incaricata dal consiglio cittadino di condurre le trattative, per proporre una sede stabile a Udine.
1458, 7 febbraio
La commissione cittadina propone dei luoghi possibili ai Servi, che dalla successiva relazione al consiglio sappiamo essere: San Gervasio, Sant’Antonio, San Nicolò in via Zanon. Quest’ultimo venne ritenuto il più adatto, essendo sede di un convento di monache che avevano costumi assai discutibili e lontani dall’idealità religiosa. Il consiglio si dimostra favorevole, ma il permesso non giunge nemmeno questa volta.
1466
Dopo il trasferimento di fra Cristoforo alla chiesa di San Gottardo, gli Agostiniani sono soppiantati nuovamente dai Celestini che rientrano in San Gervasio con un loro priore: fra Roberto del fu Giovanni di Arras. La congregazione benedettina non riuscì, tuttavia, a dar vita ad un’istituzione duratura. A pochi anni di distanza dal loro insediamento si rileva lo stato di abbandono del convento
1475
Verso questo anno troviamo in San Gervasio un certo frà Nicola da Rimini, che soleva celebrare ogni tanto la messa per le truppe veneziane stanziate lungo l’Isonzo, essendo in quest’epoca fattasi vicina la minaccia turca. Giovane ed abituato ai costumi di vita dei soldati, Nicola prese a condurre una vita mondana e dissoluta. La cosa cominciò a generare scandalo. Egli stesso se ne rende conto e, prima ancora di essere cacciato, fa l’inventario delle suppellettili di San Gervasio, le consegna a due rappresentanti del Comune, e se ne va spontaneamente.
1477
Uno dei provveditori dell’esercito veneziano che presiede il Friuli contro i Turchi è il cavaliere Giovanni Emo.
1478, settembre
Giovanni Emo riesce in quest’anno a sventare un tentativo di incursione turca. Per questo merito viene incaricato nel mese di settembre di consolidare l’intera cinta muraria di Udine.
1479, 12 gennaio
Dagli annali di Francesco di Manzano: “Indizione XII. – De expulsione Fratruum Caelestinorum ab Utino, ex exemptio Servitam.”
1479, 20 gennaio
Giunge a Udine come Luogotenente il cavalier Giovanni Emo: uomo colto, energico e di grande esperienza politica, diplomatica e militare. Nato a Venezia, a S. Marcuola nel sestiere di Cannaregio il 21 febbraio 1419, era stato ambasciatore a Napoli, Budapest e a Costantinopoli, dove divenne console generale. Giunse a Udine con l’incarico di rinforzare le mura e i fossati della città, oltre che rinforzare la fortezza di Gradisca, per difendersi dalla nuova minaccia che incombeva sulla repubblica di Venezia e sul Friuli: il flagello turco. Erano infatti passati solo due anni dalla seconda invasione turca del Friuli che aveva lambito anche Udine e che durrà Venezia a sancire in quest’anno una pace ventennale con il sultano.
1479, 18 marzo
Il Consiglio Comunale affida al Luogotenente Giovanni Emo l’incarico “di cercare di trattare nel migliore dei modi che venissero [a Udine] frati osservanti […], e che si provvedesse a dar loro dei luoghi adatti”.
1479, 16 giugno
Giungono a Udine i Servi di Maria dell’osservanza (collegati alla famiglia Savorgnan), provenienti dalla comunità di Venezia, grazie agli auspici del luogotenente del Friuli Giovanni Emo. Fu infatti lui ad accelerare l’arrivo dei Servi in città, essendo un ordine all’epoca in espansione, dai costumi piuttosto sobri e ben visto dalla Serenissima. I frati si diedero subito da fare e acquistarono delle casette e dei fondi attigui alla chiesa per sistemare la proprietà. Altri beni furono donati. Si insediano nelle casette attigue alla chiesa dove già i Celestini abitavano. La comunità però era ben più numerosa di quelle degli ordini precedenti e furono loro donate altre piccole proprietà vicine, nell’ottica dell’ampliamento del monastero e per creare degli orti per la sussistenza dei frati. A partire da questo periodo, per la prima volta si registra il cambiamento di intitolazione della chiesa che diviene “dei Servi dell’Osservanza della Beata Vergine Maria”.
I servi abitarono provvisoriamente, come affittuari, anche alcune case prospicenti il borgo Pracchiuso chiamate casali “Griglons”. Nell’anno successivo furono loro donati dei terreni siti nell’area tra l’attuale Piazza I Maggio e Via Tomadini, tra i quali quelli detti poi “Braide dal Boe”, e alcuni campi fuori porta Pracchiuso, su Via Cividale. Seguirono negli anni altre donazioni, sia da devoti che dal comune.
1479, 28 luglio
L’ingresso dei frati nel convento viene celebrato solennemente con una processione che dalla Cattedrale giungeva sino alla chiesa di Borgo Pracchiuso. Ad essa partecipò una gran folla di cittadini, con alla testa il Luogotenente, i deputati della città, i canonici, il vicario patriarcale e la delegazione dei servi composta dai membri che avrebbero fatto parte della comunità, oltre che da fra Girolamo de Franceschi da Venezia (diventerà poi vescovo di Corone, suffraganeo del patriarca di Aquileia) e fra Onorio da Bergamo, vicario generale dell’Osservanza. La comunità è composta dal maestro Michele Teutonico che ne era il priore, dal sacerdote Giustino di Brescia, dal sacerdote Pacifico da Padova, dal suddiacono Urbano da Lodi, dai chierici Davide e Teofilo da Rovato, dai fratelli Gottardo da Vicenza e Luigi da Giustinopoli d’Istria. Quindi l’area di provenienza era quella padana dell’Osservanza con il rimarchevole particolare della presenza di chierici, studenti, segno di una fraternità dinamica. Operano sotto la visione del commissario dell’ordine Fra Paolo da Chiari di Brescia.
1479, agosto
Il cavaliere Giovanni Emo, luogotenente della Patria del Friuli, stabilitosi nel castello, residenza che spettava a tale carica, aveva portato con sé un’icona raffigurante la Vergine. L’aveva ricevuta in dono dal sultano Maometto II quando era console generale a Costantinopoli.
L’icona, realizzata in modi bizantineggianti, sembra essere di bottega veneziana, databile al XIV o XV secolo. La Vergine è ritratta a mezzo busto e sorregge il Bambino che viene allattato, verso cui reclina il capo, mentre nella mano sinistra tiene una rosa. Le due figure portano un’aureola dorata e sono vestite di rosso, mentre la Madonna è ricoperta da un manto blu. In alto, due lettere greche approssimative vogliono significare Madre di Dio.
L’immagine si trovava esposta in una delle sale del Castello. In breve tempo la tavoletta della Vergine compì delle guarigioni insperate. Nonostante non se ne volesse parlare, ben presto si diffuse la notizia tra il popolo e tutti la volevano vedere. Dopo una ulteriore prodigiosa guarigione che riguardò una cuoca che si era quasi staccata una mano lavorando in cucina e che l’ebbe risanata rivolgendosi devotamente a quell’icona della Vergine, il luogotenente pensò che una simile immagine taumaturga non poteva essere conservata in un luogo profano e decise di inviarla nella vicina chiesa dei santi Gervasio e Protasio.
1479, 8 settembre
Con solenne processione si trasporta la sacra icona dal Castello alla chiesa che poi, quasi subito, prese il nome di Beata Vergine delle Grazie o Madonna delle Grazie. L’icona miracolosa della Vergine, inquadrata entro una cornice di legno dorato, venne collocata in una cappella a se stante: la primitiva cappella, che ora è dedicata al beato Bonaventura.
Investita anche dell’importante responsabilità della custodia dell’icona, la fraternità si diede subito i primi obiettivi: avere il riconoscimento giuridico e cominciare la costruzione di una nuova chiesa e di un nuovo convento.
1480, 12 gennaio
Papa Sisto IV emana una bolla indirizzata al Vicario Patriarcale, in cui stabilisce che le proprietà del convento dei Santi Gervasio e Protasio venissero separate dalla giurisdizione dei Celestini e fossero affidate ai Servi.
1482
La bolla di papa Sisto non risolve la questione e si tenta di far riformulare la dichiarazione papale in maniera più chiara ed esplicita.
1482, 31 gennaio
I Servi fanno richiesta al comune per asportare della sabbia dal fossato cittadino, presso porta Cividale.
1482, 11 aprile
I frati cominciano un restauro del monastero esistente, come ricordano varie suppliche alla comunità cittadina. L’energia profusa per il restauro delle opere materiali non fu inferiore a quella messa per il rinnovo degli uffici liturgici. Se precedentemente al loro arrivo nella chiesa la celebrazione di una messa alla settimana era incerta, dopo l’insediamento dei frati le messe furono regolari e affiancate dal sacramento della confessione e dalle predicazioni.
Si ebbe così una crescente partecipazione del popolo alle funzioni religiose dei Servi, dovuta anche alla devozione verso l’immagine della Vergine che si custodiva.
1483, luglio
I Servi vengono già indicati come “frati di Santa Maria delle grazie”.
1483, 29 dicembre
Un documento parla di donne che vanno “ad gloriosam virginem Mariam gratiarum”. Le figure a noi note di priori della comunità sono due: Dionisio da Brescia (1483-1484) e fra Benedetto da Clusone (1486-1487). Quest’ultimo avrebbe poi fondato, con altri due frati, un convento dell’Osservanza a Clusone, su incarico di Bonaventura da Forlì.
1489, 29 gennaio
Un documento capitolare ci informa che la comunità era composta dal vicario generale e da dodici frati. La maggior parte di essi era di provenienza bresciana, ma si annovera già un primo frate udinese: Girolamo de Savorgnani.
1490, 5 agosto
Continua tra i Servi e i Celestini la controversia sulla proprietà del convento di San Gervasio e Protasio. In questo clima d’incertezza viene esacerbato da voci, messe in giro ad arte, su una presunta mala gestione del convento, invocando un controllo comunale. Alle queste insinuazioni viene posto fine dall’atteggiamento vigoroso e trasparente del priore fra Michele Teutonico, che in questa data si dice disposto ad affidare una chiave della cassetta delle offerte ad un rappresentante del comune e a presentare un resoconto settimanale delle entrate e delle uscite della chiesa.
1490, dicembre
Il crescente prestigio dell’ordine nella città di Udine è testimoniato dal contributo economico che la città diede a frà Michele Teutonico in questo mese, per recarsi a Roma presso Papa Innocenzo VIII ed ottenere una nuova bolla papale per l’attribuzione del convento. La missione di frate Michele ebbe successo.
Nel viaggio di ritorno consegnò una lettera di ringraziamento, da parte della città di Udine a fra Bonaventura da Forlì che aveva accettato di predicare nella quaresima di quell’anno: altro segno di stima.
Fra Bonaventura, nato a Forlì nel 1410, era una delle maggiori figure spirituali appartenenti all’ordine in quel periodo. Le cronache dei Servi riportano che fosse “piccolo di statura, esile di corpo, di non poca dottrina e tenuto dovunque nel predicare in grande stima; portava una barba incolta e andava a piedi nudi sopportando il calore dell’estate e la rigidezza dell’inverno, tanto che frequentemente gli si vedevano nei piedi pustole sanguinanti; spregevole nelle vesti, non mangiava mai carne né beveva vino; dormiva sulla nuda terra o talvolta su tavole; vivente, con le sue preghiere fu mezzo di molti miracoli; sempre dedito alle predicazioni e alla contemplazione più che all’attività a meno che fosse costretto ad addossarsi il peso del governo alla cui dignità sentendosi eletto tentò inutilmente la fuga non potendo però sottrarsi al voto dei frati.”
1491, 17 febbraio
Una bolla papale di papa Innocenzo VIII sancisce la definitiva attribuzione del convento ai Servi. Comincia la progettazione per la costruzione del nuovo convento.
1491, 31 marzo
In questo giorno, giovedì santo, muore a Udine fra Bonaventura Tornielli da Forlì, di circa ottant’anni. Fu esposto per sette giorni alla devozione popolare e sepolto nel convento della Madonna delle Grazie. Tuttavia le autorità ecclesiastiche frenarono da subito lo slancio devozionale verso il predicatore. Il luogotenente Andrea Loredan nel 1507 fu miracolato invocandolo e alla fine della sua carica portò con se a Venezia, per deporle nella chiesa dei Servi, le spoglie mortali. Il 6 settembre 1911 ne fu approvato il culto da papa S. Pio X. Nel 1971 le reliquie ritornarono a Udine.
1491, 21 giugno
Il priore, fra Aurelio da Brescia, continua la politica di gestione trasparente del predecessore, dichiarando la disponibilità a che il comune possa fare un inventario dei beni del convento in qualsiasi momento.
1491, 16 luglio
Papa Innocenzo VIII condanna alla scomunica tutti coloro i quali avessero occultato beni e privilegi appartenenti ai monaci Celestini, che dovevano essere trasferiti ai Servi di Maria.
1491, 26 agosto
Viene istruita un’inchiesta, condotta da un commissario apostolico, canonico di Aquileia, per determinare i benefici che la città ha avuto dall’arrivo dei Servi. Ascoltati numerosi testimoni, risulta che le funzioni religiose sono molto migliorate e che sono stati intrapresi diversi lavori a beneficio della chiesa, con la costruzione di nuovi edifici. Proprio questi edifici nuovi furono il nucleo del convento. Come sappiamo dalla testimonianza di Donato di Bergamo, dove prima vi era una casupola vicino alla chiesa e alla roggia, ora vi sono case e un bel giardino. Nicolò di Savorgnano rileva l’inizio della costruzione da parte dei frati di un nuovo edificio vicino alla loro abitazione.
1494, settembre
I Servi di Maria chiedono al comune di erogare un sussidio per la costruzione di una nuova chiesa, in quanto quella vecchia era divenuta insufficiente alle necessità religiose, visto, come emerse anche nella già citata inchiesta del 1491, che l’afflusso di fedeli era cresciuto grandemente e in molti gremivano il santuario durante le prediche, tanto che queste si dovevano tenere raramente. Il comune concorda sulla necessità e concede il sussidio, affiancato in questa opera da diverse organizzazioni cittadine e benefattori.
1495, 12 aprile
Domenica delle Palme, viene posta la prima pietra della nuova chiesa, alla presenza del priore Baldassarre da Brescia, del Patriarca Nicolò II Donato, del Luogotenente Piviano, di consiglieri comunali e altre autorità. Si comincia con la costruzione dell’abside e del presbiterio. Si promuovono collette e si recupera tutto il materiale possibile, derivante spesso da demolizioni vicine. La basilica verrà intitolata a Santa Maria delle Grazie, sia per la presenza dell’icona taumaturgica sia per il carisma di devozione mariana dei serviti.
1496
Una citazione parla del “convento di Santa Maria dei Servi”.