Sia a livello di incontri di sacerdoti, sia in occasione di molti dialoghi con laici più o meno preparati a livello teologico, capita sempre più spesso di affrontare vivacemente tematiche di carattere teologico.
Sarà perché da anni cerco di trasmettere e approfondire, sia tramite le omelie che nei vari articoli dei bollettini parrocchiali e del santuario, concetti teologici che possono essere dati per conosciuti, ma che in realtà non lo sono affatto. Sarà perché in diversi ambienti clericali si tende a criticare i propri vescovi basandosi su concetti teologici più che discutibili. Sarà perché c’è più interesse nei confronti della teologia che non in altri momenti storici, sarà infine perché certi autori suscitano curiosità e linguaggi che a prima vista possono sembrano innovativi, se non proprio rivoluzionari. È un dato di fatto che comunque alcuni libri di teologia stanno suscitando curiosità e discussione, ma soprattutto sono ottima occasione di mercato, o di supermercato. Mentre ci sono ottimi teologi che scrivono libri eccellenti, ma non riescono a vendere se non pochissime copie.
Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che anche sul piano teologico, come su quello religioso in genere, è più facile vendere libri che rispondono alle richieste superficiali ed emozionali che non a quelle che vengono da ricerca seria e autentica. E questo vale anche per le trasmissioni radio e televisive.
Così i vescovi sono chiamati a ridire ai propri sacerdoti e ai propri fedeli i fondamenti teologici che derivano dalla Scrittura e dalla tradizione della chiesa (concili e magistero), e non da ricerche sensibili al mercato.
I teologi, nella loro pur legittima ricerca, devono essere fedeli al messaggio evangelico e alla tradizione della Chiesa, e a non sfruttare in modo commerciale il desiderio di autenticità spirituale. I fedeli devono essere attenti a non cadere nel tranello delle mode di pensiero teologico che sempre imperversano: come sono critici nei confronti della chiesa istituzionale, dovrebbero essere altrettanto critici, se non di più, nei confronti di chi si proclama o viene proclamato nuovo teologo dalle leggi di mercato.
Recentemente mi è stato chiesto di invitare da noi un teologo, Vito Mancuso, che sta suscitando interesse in vari ambienti, soprattutto nelle frange più laicistiche del cattolicesimo. In un incontro tenuto in Friuli, Mancuso ha ricordato pubblicamente di essere stato chiamato a parlare in alcuni dei nostri conventi; l’ultimo libro di p. Alberto Maggi (Versetti pericolosi) è uscito con una fascetta di Mancuso in cui si dice che dai tempi di Turoldo non si era più sentito un linguaggio così forte e provocante. Conosco bene Maggi, come ho conosciuto bene Turoldo, e credo che l’abbinamento di Mancuso sia per lo meno inappropriato, se non proprio infelice. O anche questo è un tratto esclusivamente commerciale? Forse.
Nonostante questi precedenti di vicinanza a nostri frati e nostri conventi, ho ritenuto di non dover invitare Vito Mancuso a parlare al nostro pubblico. È stato comunque invitato dalle nostre parti tramite il centro Balducci di Zugliano (Ud), diretto da don Pierluigi Di Piazza.
Personalmente non l’ho invitato, e a ragion veduta.
Anzitutto perché non amo chiamare coloro che sono di moda e che vanno dappertutto: normalmente questi personaggi portano più se stessi che un messaggio spirituale purificato e maturo.
Non apprezzo poi quando l’opinione personale prevale o addirittura vuole sostituirsi a quella ecclesiale, perché in questi casi l’io tende a sostituirsi a Dio.
Non amo coloro che pensano di parlare di fede e contemporaneamente la riducono a semplice filosofia o, peggio, a sentimentalismo, scardinando e annullando ogni fondamento della fede.
Nel caso specifico di Mancuso: se l’io viene prima di Dio – così riporta anche il titolo dell’ultimo suo libro – se Dio è ridotto a una generica entità, se la resurrezione non è più un dato essenziale alla fede cristiana, ma una semplice opinione, allora credo che sia difficile presentare l’opera e il personaggio come teologia/teologo cristiano.
Non lo trovo autentico, come ha detto anche Berardinelli su Il Foglio dell’8 gennaio 2010, perché sembra ridurre Dio a un astratto contenitore della giustizia, del bene, della bellezza perfetta, in definitiva di una realtà ideale, e ciò non corrisponde all’essere cristiano. Si tratterebbe di un cristianesimo che ha poco a che spartire col Cristo della Bibbia.
«Per i non mistici, vale a dire per la stragrande maggioranza delle persone di oggi, condividere il cristianesimo di Mancuso può solo essere al massimo un credere di credere, per dirla con Gianni Vattimo, anche se in un senso molto differente» (G. Mula): può essere un credere in un Dio che non ha diretto riferimento a Gesù Cristo.
Ma san Paolo dice in modo chiaro: senza la risurrezione di Cristo vana è la nostra fede (cfr. 1Cor 15,14). Il cristiano non può prescindere dalla risurrezione di Gesù Cristo, e non può parlare di Dio se non a partire da Gesù Cristo.
Mentre Mancuso dice che la risurrezione non salva, «non ha alcuna conseguenza soteriologica, né soggettivamente, nel senso che salverebbe chi vi aderisce nella fede visto che la salvezza dipende unicamente dalla vita buona e giusta; né oggettivamente, nel senso che a partire da essa qualcosa nel rapporto tra Dio e il genere umano verrebbe a mutare» (L’anima e il suo destino, Milano 2007, p. 312).
Può dirsi cristiano chi non crede nella risurrezione di Cristo? Questo è uno dei tanti punti deboli della teologia di Mancuso. Il teologo/vescovo Bruno Forte dice che quella di Mancuso non è teologia cristiana, ma “gnosi”, pretesa di salvarsi da sé. (cfr. «L’Osservatore Romano» del 2/2/2008). Un altro articolo molto critico sulla teologia di Mancuso, e che merita di essere letto con attenzione, è quello di Corrado Marucci su «La Civiltà Cattolica» del 2 febbraio 2008, nº 3783.
Personalmente condivido, anche se mi rendo conto che la posizione di Mancuso è molto più complessa di quanto ho detto in pochi pensieri. Ma da questi si comprende perché, a differenza di altri miei confratelli di altri conventi dell’Ordine, non ho invitato e non ho intenzione di invitare Vito Mancuso.
p. Cristiano
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