Lc 13,1-9
Ci siamo lasciati domenica scorsa riflettendo sulle tentazioni avute dai discepoli sul monte della trasfigurazione.
La terza tentazione, la paura di essere presi totalmente da Dio, era la più impegnativa e la più difficile da vincere. Abbiamo sempre il desiderio di essere noi i costruttori della vita e delle prospettive umane. Facciamo fatica a lasciar fare a Dio. Pensiamo di più a realizzarci che non a lasciarci realizzare da Dio.
In questa terza domenica i testi biblici ci portano a riflettere proprio sulla storia dell’uomo e sulla interpretazione dei fatti della storia, sul fatto di non lasciarci suggestionare da ciò che avviene nella storia, e allo stesso tempo su come entrare nella realtà di Dio. La prima lettura infatti ci dice con quale animo e atteggiamento ci si accosta a Dio.
Nel Vangelo vengono ricordati dei fatti di cronaca, raccontati solo dall’evangelista Luca, e una parabola. Una strage ordinata da Pilato e un’altra causata dal crollo della torre di Siloe. Due tipi di tragedia che possono essere ritrovati costantemente nella storia: esistono sempre tragedie causate dall’uomo, e altre causate da fatti indipendenti dalla responsabilità umana.
Come interpretare la storia?
Abituati a pensare in termini di giudizio, siamo soliti dire dove stanno le colpe: stanno nell’uomo, oppure stanno in Dio o nella natura.
Si tratta di un modo di giudicare che era ordinario ai tempi di Gesù: il peccato dell’uomo era considerato causa delle tragedie umane. Così pensavano gli amici di Giobbe, così pensavano i discepoli di Gesù riguardo al cieco nato: chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco? Non avrebbero potuto pensare lo stesso riguardo alla morte di Gesù? Infatti Gesù è annoverato fra i peccatori, viene ucciso fuori le mura della città santa che non doveva essere profanata con la presenza del condannato a morte.
Gesù non dà risposte secondo la mentalità corrente. Non elude il problema, ma chiede una interpretazione diversa.
La causa della morte degli uccisi da Pilato o di coloro che sono morti sotto la torre crollata non è nel loro peccato. Tutti sono peccatori, e allora tutti dovrebbero essere condannati ad una morte simile. Se il peccato non è la causa della loro morte, e se la morte non è un castigo divino bisogna rendersi conto che è necessaria una comprensione diversa. Usare categorie di peccato/castigo per giudicare la storia non è il modo giusto per comprendere il mistero di Dio. Il modo giusto viene indicato da Gesù.
Gesù usa il termine di conversione (metanoia = cambiamento di mente) che non consiste nel limitarsi a evitare il peccato, ma è anche un’accettazione della presenza di Dio e del suo regno.
Conversione è invito ad andare alla radice del male presente in ciascuno di noi, ma è anche andare alla radice del bene, alla presenza salvifica di Dio.
Per questo la conversione può portare a scelte difficili e in contrasto con la mentalità ordinaria dell’uomo.
La conversione è anche una questione urgente, attuale, che riguarda questa vita, come sottolinea la parabola del fico.
Se riguarda tutta la vita deve essere continua, vissuta ogni giorno.
Potrebbe sembrare sterile, senza frutto, come esemplificato nella parabola del fico. Si tratta invece di comprendere che è la pazienza di Dio che dà una possibilità di riuscita al fico. Si tratta di amore, di misericordia, di sempre nuove possibilità offerte da Dio. Questo il clima di grande misericordia che viene da tutto il discorso sulla conversione. Per questo nessuno è escluso dalla possibilità della salvezza.
Allora la domanda cui dobbiamo dare risposte e approfondimenti in questa quaresima è: cosa vuol dire per noi convertirci? Certo non può essere solo un discorso di carattere moralistico. E neppure può essere una semplice adesione o un ritorno alla Chiesa cattolica o alla pratica del culto o, anche, adesione a tutti e singoli i dogmi insegnati dalla Chiesa.
“Chi si converte diventa consapevole davanti a Dio della sua ‘perdutezza’, della propria situazione disperata e quindi della sua profondissima miseria, riconosce il peccato e la colpa, si pente e confessa, rimettendosi interamente al giudizio di Dio, senza ’scuse’ e senza pretese, ma anche con fiducia profonda nella misericordia divina”.
Conversione significa essere coscienti di ciò che siamo e di ciò che possiamo essere se ci lasciamo attrarre, guidare, giudicare da Dio. Per convertirci dobbiamo “partire non dai sensi, dalle apparenze, dal visibile, ma da un totale cambiamento nel nostro cammino religioso… con questa nuova mente, tutto cambia: la vita, il senso della vita, gli eventi che l’accompagnano; la vita esteriore non è più considerata come portatrice di significati, il suo senso è scoperto nella interiore trasformazione della mente” (p. Vannucci).
p. Cristiano
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